Bianca e la guerra mondiale
Racconto autobiografico
Bianca Fricke-Brigati
Wynau, 30esimo gennaio 2000
Da una parte ringrazio il buon Dio che mi ha protetta fino a questa età, eppure mi rende triste, essere già arrivata a gli 80 anni, e non avere compiuto ciò che da tanto tempo volevo risolvere. Siccome mi trovo ancora in buona salute, e forte, vorrei realizare un mio ultimo desiderio, frugare un poco negli anni della mia gioventù.
Dai miei 18 anni ai 25 non posso scrivere una autobiografia tanto allegra, datosi che in quei tempi scoppio la grande guerra mondiale, provocata dal famoso A. Hitler, mi trovavo col fratello Giuseppe in Germania, allora le due Nazioni, Italia e Germania erano ancora alleate. Il grande capo d'Italia era Mussolini.
Si parla del 1938, non solo in Italia, ma dappertutto, esisteva una grande miseria, e disoccupazione. La Germania chiese al Duce, operai per la campagna, mio fratello di natura molto laborioso si e prenotato subito. Nel fratempo si sentiva che anche le donne potevano andare ma solo per la campagna, non era il mio mestiere, ma con buona volontà si puo fare anche lavori diversi del mestiere imparato.
Giuseppe ha riuscito a convincermi di andare anch'io con lui. Hitler aveva il suo scopo a chiedere aiuto all Italia, cosi poteva usarne della sua gente, nelle arsenali per costruire munizione in quantità.
Chi di noi pensava che lui aveva in progetto di fare una grande guerra, per accuistare al minimo tutta l'Europa. Per fortuna che il colpo non andò a suo genio, ma la soddisfazione di sterminare migliaia di gente, il quale li credeva piu forte di lui ce la avuta.
Tornando alla nostra partenza. Prima di tutto ci hanno esaminati, se tutti sapevano scrivere e leggere, si accontentarono anche se uno o l'altro sapeva fare la sua firma, il Duce ci teneva a queste cose, per non figurare male, ci ha messi anche tutti in divisa, per paura che qualche suo Emigrante andasse con calzoni rattopati.
Il distacco dai miei cari genitori, mi e stato molto doloroso, so che l'ultima notte ha voluto dormire con la mia mamma, per esserle vicina e piangere con lei. Lei mi pregava di fare la brava anche in Germania. Lei era del 1880, il papa pure, e in quei tempi il mondo non era cosi vicino come oggi, le altre nazioni ci sembravano molto piu lontane, cosi la partenza mi rese molto triste.
Il 4 Aprile 1938 a Piacenza si sono radunati parenti e amici per darci l'addio, chi piangeva e chi dava buon consigli, una buona Suora mi strinze un Crocefisso in mano, dicendomi di tenerlo in considerazione che mi porterà fortuna. Finalmente il nostro treno cominciò a sbuffare il fumo di carbone nell'aria, segno di partenza verso il nuovo destino, chiusero porte e finestre, e noi si ritirammo sui nostri sedili, per un po di tempo non parlava più nessuno.
Il viaggio è stato lungo per arrivare nella Germania del nord, la prima fermata e stata a Monaco di Bariera, lì ci hanno dato una minestra di riso. Il proviante per il lungo viaggio l'abbiamo portato da casa, denaro tedesco non ne avevamo, e per la sete ci aveva pensato Mussolini, a farci mettere qualche cassa di aranci sul treno, oltre anche un piccolo vocabolario d'imparare il tedesco.
Dopo due giorni di viaggio siamo arrivati a destinanzione, con faccie fumicate, gambe gonfie siamo scesi alla bella Città di Lüneburg. Forse per far piacere a Mussolini sarà stato Hitler a farci ricevere con la banda musicale. Il nostro bagaglio fù caricato su di un camione, e noi col nostro fazoletto a tricolore al collo come bravi Italiani, ci siamo messi in marcia, la banda davanti che suonava a tutta forza l'inno Italiano.
La gente per le vie correva per vedere gli arrivati dal Sud. Qui e là si vedeva qualche donna a piangere fra la folla, forse sapevano piu di noi, le avremo fatto compasione.
Arrivati dove ci aspettavano i nostri datori di lavoro, entrammo in un grande salone ove lì ci diedero da cena fatta di spaghetti stracotti.
Forse era la prima volta che i tedeschi facevano pasta asciutta, perche loro non li conoscevano ancora. Per educazione li abbiamo mangiati lostesso.
Per curiosità venivano ancora gente a vedere gli Italiani, fra i quali anche una Signorina elegante e bella, con un ufficiale di fianco, e mi stava sempre vicino, mi parlava, mi sorrideva, ma io non capivo niente, mi diceva il suo nome, Anneliese, quì voleva sapere anche il mio, le ho detto che mi chiamo Bianca, poi voleva sapere la mia età, con le dita mi faceva capire che lei aveva 18 anni, gli feci capire che anch'io ho la sua età, ma di piu non potevamo dirsi, per manco di conoscenza delle due lingue differenti. Ma fino che non ha potuto sapere il nostro indirizzo non se ne andava.
Finalmente l'interprete ci ha presentato il nostro padrone, cosi lei ne prese nota di dove andavamo a finire. Allora tutta contenta mi ha salutata e se ne è andata con il suo tenente. Il nostro padrone, alto, corpolente, la testa rasata, in tutto, un vero tedesco, ma non di cattiva presenza, sua moglie pure alta bella e gentile, dopo esserci salutati, lui prese le nostre valige, le ficcò in una Mercedes nera e poi con noi due siamo partiti verso la sua fattoria.
Era gia notte tardi, e dopo una 30tina di Kiometri siamo arrivati. Una vecchia casetta dal pavimento di cemento, la cucina conteneva solo una stufa a legna, niente altro, una stanzetta con un tavolo, due sedie, un credenziono e una stufa, una camera con un letto solo, e non grande, qualche chiodo nei muri per appendere gli abiti.
Le abbiamo detto che noi non siamo sposi, siamo fratelli, non dormiamo insieme, loro crollavano le teste e non capivano, le abbiamo fatto vedere le mani senza vere, allora hanno capito, mi fecero vedere un'altra stanzetta, dicendo che domani portavano un lettino anche per mè.
Il problema per non dormire insieme l'abbiamo risciolto presto, mio fratello prese fuori metà di quella paglia che faceva da materazzo, la buttò nella mia stanzetta, cosi uno di quì e uno di la, abbiamo passato la notte. Non hanno mancato di parola, il giorno dopo hanno portato un letto anche per mè, bel pieno di paglia come l'altro.
Il giorno dopo sono uscita per vedere dove si trovavammo e vedo tre bambini che giocavano, ho capito che abitavano nell'altra meta della casa.
Io avevo ancora tre aranci e gle le ho dati, non avendo mai visto quei frutti credevano che fossero palle, si sono messi a giocare il Fussball, quando ho visto, le ho fatto vedere che si mangiano.
Il primo giorno avevamo riposo, in mattinata viene un vecchio con un cesto al braccio, ho capito che sarà il padre del nostro padrone, a noi prescritta per tutta la settimana, aveva il nostro proviante nel cestino. Ci e sembrato ben poco per due persone che dovevano lavorare dieci ore al giorno. Anche a discutere non vale la pena, a non capirci e ben brutto.
Abbiamo pensato che si sazzieremo di patate, non ci razioneranno anche quelle. In giornata ho fatto un giro, per vedere dove stanno i padroni, non si poteva dire che era un paese, perchè ho trovato cinque case, un piccolo negozietto e di grande era solo la fattoria e la casa del padrone.
Dunque, a lavorare s'incominciava alle sette, il mio primo lavoro era spaccare legna. Mi hanno messa in un portico pieno di piante segate, ora io dovevo spaccare quei torli in quatro pezzi. La prima sera sono tornata a casa piangendo del male che mi facevano le ossa.
Gli dissi a mio fratello, che voglio tornare a casa in Italia, perchè dieci ore al giorno di questo duro lavoro non resisto. Lui cercava di consolarmi, nel dirmi che sono solo i primi giorni i piu faticosi, poi il corpo si abitua, ora siamo qui e dobbiamo starci. Ma lui era un uomo, con 12 anni piu di mè e piu forte.
Diceva anche, se si puo scaldare l'aria, andiamo nei campi a lavorare, non sara cosi faticoso il lavoro. Aveva ragione, col bel tempo s'incominciava a cambiare lavoro.
Il primo maggio grande festa dei lavoratori, al paese vicino grande movimento, suonavano, cantavano e ballavano. Il padrone ci ha portati anche noi a divertirsi.
Quel mattino viene la vicina di casa con un giornale in mano per farmi vedere che il mio nome sta scritto in prima pagina, con una lunga descrizione, che io non sapevo leggerla. In grande stava scritto: "Bianca lacht". Gli dissi che non sono io, perche io mi chiamo Brigati, non "lacht" ma lei insisteva, con ragione, ma io non sapevo ancora cosa voleva dire "lacht". Finalmente con l'aiuto del mio vocabolario ho capito: Bianca ride.
Finalmente ho sciolto il nodo: Qualche settimana prima vennero due giornalisti nel campo a interrogarmi, se eravamo contenti in Germania, e anche del nostro padrone, certo che non potevamo dire di no, poi loro non parlavano l'italiano, e noi non il tedesco, cosi per fare un po di propaganda, che noi siamo tanto contenti, e che anche il padrone era tanto contento di noi, e che Bianca era sempre sorridente con tutti. Ma che dovevamo dormire sulla paglia, comperarsi viveri perchè la sua razione non ci bastava, senza luce nella mia camera, non un armadio per i nostri abiti, questo non l'anno scritto sul Giornale di Lüneburg, ma se avessero anche visto come si abitava, non l'avebbero cennato, poiche il nostro padrone, era un cane grosso nel partito.
La mia amica Anneliese, ogni tanto mi scriveva una lettera, il vicino di casa di nome Ludwig, cercava di farmi capire che cosa scriveva, ma non era possibile, le parole mi erano ancora troppo sconosciute, poi nell ultima lettera, chiedeva di andare a casa sua, i suoi genitori volevano conoserci, forse poteva accompagnarci qualche d'uno.
Io davo le lettere sempre a Ludwig da leggere, cosi bene o male ci fece capire che domenica, andremo col treno a Lüneburg dalla Anneliese.
A un paese vicino passava un treno che andava in città. Quel pomeriggio era splendido, e noi trè di buon umore, e cosi siamo partiti.
Il nostro compagno, disse ai viaggiatori che gli Italiani cantano tanto bene per questo mio fratello con la sua voce da tenore gli cantava, la conosciuta canzone "o sole mio".
Arrivati in città abbiamo trovato ben presto il palazzo, era proprio in centro, li ci prese un po di panico, per non sentirsi in grado di entrare in quel lusso. Ludwig non aveva nessun timore, suona, e una ragazza con grembiulino bianco e la crestina in testa venne ad aprire, Giuseppe si augurava di essere una formica per nascondersi sotto la porta, ma il nostro compagno non aveva nessuna vergogna. Ci disse chi eravamo, e la ragazza ci andò annunciare.
La padrona molto gentile ci disse da entrare, noi due sembravamo due sordomuti le nostre veci li faceva Ludwig. Finalmente si presenta l'Anneliese con sua sorella Henny, quella ancora piu signorile.
Siamo stati serviti con ogni bene, e siccome vi era la fiera in città, le due sorelle mi hanno accompagnata a vedere i divertimenti, invece gli uomini sono andati a vedere le caserme della città acompagnati dal fidanzato e il papà di Anneliese. A loro le è piacuto di piu a vedere cose militari, che i baracconi sulla fiera. Poiche anche mio fratello aveva fatto 18 mesi il militare in Italia, anche lui nell'artileria come il tenente.
Dopo cena, la mia amica ci ha portato con una bella macchina alla Stazione, dicendo che una volta verranno loro tutti al trovarci a Süttorf.
Si vede che Ludwig, le ha raccontato della nostra misera abitazione, persino manco di luce nella mia stanza, che di notte avrei voluto imparare il tedesco, era ora che incominciassi, perche a non potersi intendere e una cosa insopportabile.
Un bel giorno venne un eletricista a mettermi la luce in stanza, persino lampada da comodino, ma non avendone, me ne sono fatto uno io con vecchi mattoni, lo coperto con una tovaglietta e cosi avevo tutto ciò che tanto desideravo. Questa bella sopresa l'ho avuta grazie al Sig. Klingner, il padre di Anneliese.
Quanto sono stati buoni con mè questa gente. Anche il nostro padrone non era cattivo, pure sua moglie era molto gentile, ma il comando l'aveva ancora la suocera, lei sapeva farle tenere il distacco con i dipendenti.
Ma quei tempi era cosi dappertutto, il lavoratore è sempre stato molto sottomesso. Il nostro Sig. Heinrich Brammer vederlo in uniforme sembrava un Generale, ma non era cattivo, quando era aperta la caccia, lui che aveva anche tante boscaglie, con caprioli e cervi, ci portava di nascosta qualche pezzo die carne. La sua immensa campagna gli rendeva, con segale, avena, barbabietole, e molti campi di patate, lì venivano i soldati di lavoro ad aiutare fare il raccolto, allora le due padrone avevano il suo daffare per la merenda, portavano tutti i giorni panieri pieni di dolciumi fatti con lievito.
Anche noi ne godevamo di quella buona merenda. Ma per noi due quando si lavorava a cottimo, non ci era mai qualche buona sorpresa da parte della vecchia. Avra pensato che gli italiani vivono solo di pasta. La fattoria si trovava a 50 km da Hamburgo.
Era la piu grande metropoli navale del mare del nord della Germania. In tempo di pace ci siamo stati un paio di volte, era una città molto divertente e chiassosa, sempre piena di marinai, chi veniva e chi andava in quel porto cosi mercantile, in quell'epoca non era ancora stata picchiata dai bombardieri nemici.
Pian piano l'estate se ne andava, e noi cominciavamo a fare progresso nella lingua tedesca, parola per parola, incominciavo formare frasi in modo da capirsi sempre di più, cosi ci si stava anche piu volentieri in quei paraggi, andavamo anche piu spesso a ballare, cosi la vita diventava sempre meno monotona.
Di tutti gli emigranti che sono partiti con noi per la Germania, non abbiamo piu visto nessuno, si erano sparsi tutti nelle vaste fattorie. Il nostro contratto di lavoro era valido fino a novembre, poi si poteva ritornare in Italia, il padrone ci pregava di restare anche all'inverno, per paura che l'anno dopo non si tornasse più, ha anche promesso di non farmi piu spaccare legna. Noi due si consultavamo di restare o non restare pensando che l'inverno sara troppo freddo per noi, e anche 5 mesi far niente se ne andava il nostro quadagno.
Il Sig. Brammer ci pensava lui a farci prolungare il contratto di lavoro. Dopo tante discusioni abbiamo deciso di restare.
Arrivò anche la partenza di ritorno per i nostri compagni. A Lüneburg ci fecero una bella festa con cena e ballo, anche noi habbiamo partecipato. Cosi abbiamo visti ancora i nostri amici, i quali portavano i nostri saluti alle nostre familie.
Era proprio una bella festa, una signora suonava il pianoforte, e mi chiede di cantare che lei mi accompagnava. Io che mi ero data tanto dafare a imparare la nuova canzone del marinaio e niente meno che in tedesco. Per l'applauso e regali che mi hanno fatto, si vede che li ho meritati.
Alla fine della festa, gli altri sono partiti per la patria e noi siamo rimasti e tornati al nostro ovile con il nostro felice padrone. L'inverno si avvicinava, il natale l'ho passato a casa dell'Anneliese, oltre i regali mi diedero anche panni invernali per paura che mi ammali.
Giuseppe e rimasto a casa, lui si divertiva suonare il vecchio gramofono che le ha regalato un suo amico di lavoro, quei pochi dischi erano sempre quelli ma lui si diverdiva lostesso.
Il lavoro d'inverno era a trebiare il racolto fatto d'estate, e altri lavori interni. Male e bene è passato anche l'inverno. Pian piano incominciarono i soliti lavori in campagna.
Noi sempre al buio di tutto, essendo anche senza ogni comunicazione, manco di radio, a sentire che e scoppiata la guerra contro la Polonia, per noi è stata una sorpresa grande, in settembre 1939 la Germania attaccò, tutto d'improviso.
I polacchi non essendo previsti del caso, non resistero piu di 17 giorni. Eppure in cosi breve tempo di battaglia ci rimasero molti morti e feriti. Anche Brammer dovette occupare due prigionieri polacchi.
E stato un bene per noi perchè avevamo intenzione di cambiare posto di lavoro, non per altro motivo, solo per non dovere piu cucinare noi. Il padrone non poteva trattenerci poiche il nostro contratto era valido solo fino il 30 novembre 1939.
L'ufficio di lavoro ci ha trovato una fattoria piu vicino a Lüneburg. I padroni si chiamavano Gellerman, e il paese Dachmissen. Il distacco dal nostro compagno di lavoro Ludwig, e la sua familia, che ci volevano tanto bene, è stato molto triste, ma anche loro capivano la nostra situazione.
Di peso avevamo solo le nostre valige, poiche il guadagno lo spedivamo sempre ai genitori. Non era poi tanto, ma sempre di piu che essere disoccupati. Alla stazione di città ci aspettava il nuovo padrone con un carro a cavalli, pieno di sacchi e casse e il conducere Paolo. Bene o male abbiamo trovato un posticino da sedersi su di quel veicolo.
Strada facendo potevo parlare un po con Paolo.Un bel giovanotto, un taglio di capelli ben curati, guance ben colorite, segno, di buona salute, come età, le davo 26 circa, 27 anni, mentre io non ero ancora arrivata ai 20 anni.
In poche parole mi piaceva, ma mai pensavo che un giorno diventasse mio marito.
In tanto il padrone parlava con Josef. In tedesco mio fratello si chiamava così. Arrivati alla fattoria, ci ha ricevuti la padrona, molto semplice, d'ai capelli bianchi, ma una faccia giovanile, teneva a mano un bambino di circa tre anni, quindi non poteva essere tanto di piu che sulla quarantina, mi apparve anche tanta buona, e non mi sono sbagliata.
La mia stanza non era male, il letto era senza paglia, la luce non mancava, nemmeno l'armadio, solo che la finestra guardava proprio sul lettame delle mucche, non conveniva tenerla tanto aperta. La stanza da pranzo per noi dipendenti era abbastanza al giorno, cosi avevamo anche piu compagnia.
Qui e la si sentiva che Hitler dava la caccia agli Ebrei, per primo li ha obligati di portare la stella Davide sul petto, poi distruggerle i negozi, case e non a lungo, a deportarli in campi di concentramento, con la finta, per lavori sforzati. Per questo Hitler si prese per primo la Polonia.
A Varsavia vivevano la maggior parte di loro, e il Führer diffideva la loro potenza. Nessuno doveva essere piu forte di lui. A fatto costruire una quantità di Lagher, con diversi metodi di sterminio. Cose da non poter scrivere .
S'incominciava sentire parlare del Ghetto di Varsavia. Erano muraglia attorno ai loro quartieri. Questo era già un minimo di libertà. Poi a toglerle i suoi beni, proibizioni di commercio, razionarle i viveri, e fare grandi deportazioni. Siccome il grande capo dei baffetti sotto il naso, aveva un mucchio di mani destre, come Himmler e Eichmann, capi della SS, lui dava solo gli ordini, e loro gli eseguivano.
Loro ci tenevano a sterminarne grande masse, sono stati istruiti a uccidere senza nessun rimorso, cosi anche le medaglie d'onore le coprivano il petto.
Il Führer ha visto che è stato cosi facile a prendersi la Polonia, ha pensato di sorvolare con la sua forte aviazione, tutte le altre nazioni d'improvviso, e occuparle senza alcun diritto.
Ma la Francia, l'Inghilterra, la Russia non si sono resi cosi facilmente. In tanto che la guerra si svolgeva fuori nazione, in Germania la vita teneva ancora il suo ritmo. Noi si lavorava piu di prima perchè ogni tanto ci mancava un uomo, i fronti crescevano e i soldati diminuivano.
L'amicizia con Paolo si è trasformata in amore, Paolo decise di sposarmi aveva nove anni piu di mè, ma ciò non contava, mio fratello non era al contrario, perchè vide che era una gran brava persona. Io non sapevo decidermi per la paura che lo chiamassero anche lui sotto le armi. Ma lui insisteva di essere troppo bisognoso nella fattoria, e sperava di non essere chiamato.
La ricerca se fossimo di razza ebraica e stata lunga, intanto si sperava che la guerra prendesse fine. Nel 1941 essendo cattolici tutti e due, il 6 settembre di quel anno, si siamo sposati nella chiesa cattolica di Lüneburg. Su di una carrozza ornata di verde e fiori, due cavalli superbi, e accompagnati da mio fratello e sorella Emma. Poi con parenti e testimoni c'è stato una piccola merenda, perchè le feste erano già proibite, e i viveri già molto razionati.
Dalla parte di Paolo, venne suo fratello, il quale si trovava in lutto del suo primo figlio, affondato in guerra come marinaio sulla grande nave tedesca di nome Bismark, dopo 5 giorni di battalia contro gli Inglesi, quindi niente allegria.
Col Treno siamo partiti subito per Berlino come viaggio di nozze, dalla sorella di Paul con vacanze di 8 giorni. Per incominciare bene, la prima notte l'abbiamo passata in cantina, piena di gente e bambini che piangevano dalla paura.
I bombardieri Inglesi, si divertivano a calpestare la capitale della Germania. Per fortuna che gli altri pochi giorni ci lasciarono in pace, allora la città era ancora abbastanza in forma, ho potuto vedere ancora tante sue bellezze.
Al nostro ritorno non ha cambiato niente, si lavorava come prima, niente abitazione, niente mobiglio, quelle cose erano già tutte proibite ma dormire insieme si poteva ancora, tutto il resto era riservato per la guerra.
Il grande capo voleva vincere a tutti i costi. Non era ancora contento del suo progresso, vuole prendersi anche la Russia, forse non ricordava della scoperta di Napoleone. Cosi la guerra si allargava sempre di piu, e i morti aumentavano.
Quanti morti e feriti, allo sbarco degli inglesi in Normandia, con questo si è formato un nuovo fronte in Francia. Allora non si è potuto esonerare neanche mio marito, e fino che l'hanno istruito da soldato rimase un po di mesi in patria.
Quanto ho sofferto la sua partenza. Una volta andai io a trovarlo, una volta venne lui in vacanza, e poi l'hanno mandato in Danemarchi, là non si combatteva, di pericolo non ce nera. Poi Paolo non volle piu che io stassi in quella fattoria a lavorare cosi tanto.
Dovetti andare da suo fratello in alta Slesia, confini della Polonia, lui possedeva una grande giardineria, ma ora con la coltivazione di verdura poiche i viveri si razionavano sempre di piu.
Mia sorella ha trovato un posto in una sartoria in città, cosi lei e rimasta vicino al fratello ed io sono andata contro un nuovo destino. Quanto mi è stata dolorosa a staccarmi dai miei, e anche da tutti chi conoscevo. Anche l'Anneliese si era già sposata e andò ad abitare altrove. Il marito di sua sorella Henny come capitano era già caduto in guerra anche lui. Il nostro amico Ludwig si trovava al fronte russo. Di nuovo un cambiamento nella mia vita, e una direzione sconosciuta.
Alla stazione di Oppeln mi aspettava una nipote di mio marito, non si conoscevamo ne una ne l'altra, ma vedo all'uscita una che aspettava, mi sono avvicinata chiedendole se, ma non mi lasciò parlare, perchè lei era intenta ad incontrare una italiana dai capelli neri e piccola, ed io invece, dai capelli bruni e alta 167 cm, non potevo essere il suo tipo. Allora io le chiesi se non era lei la Trudi che aspettava mè. Allora tutta stupita mi salutò, poi fuori vi erano gli altri parenti, per far onore al mio arrivo, e tutti cordiali mi hanno ricevuta.
Poi parlandosi polacco, se ne sono andati alle sue abitazioni. Il cognato mi prese la valigia, e a piedi poi siamo arrivati anche al suo paese.
Tutto un tratto mi sono sentita tanto sperduta e sola, che mi augurai di essere un ucello per volare ancora da dove venivo. La cognata mi ha accetata in casa sua con tanta fredezza, la stanza per mè sotto il tetto conteneva solo un lettino vecchio e nient'altro. Lei mi disse che per i primi giorni potevo mangiare con loro, poi dovrò arrangiarmi da sola, perchè la mia presenza metteva a disagio i suoi bambini.
Forse loro mi vedevano molta straniera, non lo sò. Lei sempre fredda e cattiva, mi teneva una tale distanza, da non poterla avvicinare, e mai per tu.
Aveva trè figlie e due maschi, l'ultima di cinque anni, e il primo 18, il quale era già morto su quella nave che ho gia accennato. L'altro figlio andava ancora a scuola.
Ho provato tutte le gentilezze, verso di lei, ma non cambiava, in poche parole, non le andavo a genio, e che lavoravamo insieme, e per l'età, potevo essere sua figlia, avevo solo 22 anni, e lei piu di 40. Mi nascose anche che era in attesa di un bambino.
Siccome era una donna grande e robusta, portava sempre costumi polacchi, non mi sono mai accorta del suo stato. Un bel mattino mi mandarono fuori casa, con la picola Anna, e di restare fino che mi chiamarono. Al richiamo siamo tornate in casa e là, ci presentarono un piccolo neonato sun cuscino. Quella sorpresa mi è stata talmente forte che mi mancò la parola, scàppai nella mia stanza a piangere, per la poca confidenza che aveva verso di mè.
Devo anche dire che in quel periodo aveva anche subito la dolorosa morte del secondo figlio, aveva solo 17 anni, anche lui massacrato in guerra, cosi i suoi due cari maschi, non tornavano piu. Forse era anche quel dolore che la rendeva cosi taciturna. Per questo cercavo di esserle, lostesso sempre gentile. La guerra si faceva sempre piu accanita, i fronti si avvicinavano alla Germania, non vi era piu notte senza bombardamenti.
Mia sorella mi scrisse se poteva venire con mè, perchè la sartoria di moda, l'hanno dovuta chiudere, ordine del grande capo. Ho chiesto alla cognata se permetesse che venga la Emma abitare con mè, non mi aspettavo da lei un si cosi spontaneo, ciò mi rese tanta contenta di sentirmi la sorella vicina.
Con tutte le stuzie, abbiamo riuscito comperare un po di mobiglio, con due letti, cosi quando veniva a casa mio marito in licenza avevamo posto per tutti e trè. Era contento anche il mio Paolo, che avessi vicino la sorella, in quei tempi cosi disastrosi. Anche la cognata era piu fabile con la Emma.
I mesi e anni passavano, ma di una fine guerra non se ne parlava, anzi, i bombardieri nemici pichiavano la Germania a suolo, i viveri calavano giorno per giorno, e la fame si faceva sentire.
Una piccola spiegazione sull'alta Slesia: Quella regione, tempi indietro apparteneva alla Polonia, nella guerra del 1918 se l'è presa la Germania, cosi nelle scuole si doveva imparare il tedesco, come anche mio marito, ma fra di loro ne usavano ogni tanto ancora della lingua Polacca. Anche loro sono di religione cattolica.
Tornando alla guerra un giorno è tornato dal fronte di Leningrado un nipote di Paolo con una gamba sola, povero Alfonso, aveva solo 21 anni, ciò che raccontava di quel fronte erano cose spaventose, migliaia di morti, altrettanto di feriti, e il Führer li obligava di combattere fino all'ultimo soldato.
Chi moriva di fame, chi dal freddo, e chi dalle granate, i feriti morivano d'infezione per manco die medicamenti. Era facile per lui a dare comandi del genere, mentre lui se ne stava al sicuro.
Lui sognava soltanto di diventare un grande redentore, a costo del suo popolo. Si ha saputo farsi applaudire, con le sue promesse al momento giusto, che in quegli anni era a terra anche la Germania, perchè quando siamo andati noi, i lavoratori erano poveri come in Italia.
Mio marito scriveva tutte le settimane, e nell ultima lettera scriveva che era suonata anche la sua ora, partenza per il fronte, ma non sapeva dove, pregava che non lo mandassero in Russia, e nemeno in Italia contro ai miei fratelli. Siccome Mussolini e Hitler non erano piu amici, cosi i tedeschi hanno invaso anche l'Italia.
La prima lettera di Paul arriva dall'Elsasia. Una regione fra la Germania e Francia, sembrava che Dio avesse sentito le sue preghiere. Lui era nella compagnia Pontonieri.
In tanto la vita civile diventava un inferno, bombardamenti senza fine ogni notte, i viveri calavano forte. Noi due sorelle abbiamo sentito che in una regione si poteva avere un po di frutta, ma non era tanto vicino, si doveva prendere il treno.
Arrivati in paese, si bussava la porta dei contadini, e tutti ci spedivano con la medesima frase. Non abbiamo piu niente, sono già venuti in tanti.
La Emma si è stancata, e si è seduta sotto un albero. Io non ero persuasa di essere venuta cosi lontano per niente, andai in una fattoria, chiedendo sempre il solito, e anche li mi volevano mandare via con la medesima frase. Non abbiamo piu niente neanche noi, tutti i giorni vengono gente cercare viveri.
Gli dissi se per quella povera italiana seduta sotto l'albero, non avessero almeno qualche mela, il padrone stupito la volle vedere subito, dicendomi di andarla a prendere subito, tornando tutte e due insieme, abbiamo trovato una carta geografica stesa sul tavolo, e noi dovevamo segnarle, da dove si veniva dall'Italia. Cosi le abbiamo segnato che si veniva da Carpaneto prov. Piacenza. E loro con lacrime a gli occhi ci segnarono Parma, ove stava sepolto suo unico figlio, caduto in guerra in Italia.
Se una volta tornati in Italia, fossimo andate cercare la sua tomba. Ci sarebbero stati tanto grati. Le abbiamo promesso che un giorno tornate a casa, esaudiremo il suo desiderio. Per ringraziamento ci hanno caricate di viveri, pregandoci di non salire sul treno dove siamo scese, perchè le guardie ci avrebbero tolto tutto, a noi non ci rimase altro che traversare campi e prati per arrivare un'altra stazione. Per un po di tempo avevamo da saziarsi. La promessa l'abbiamo mantenuta. Perchè sono stati cosi brava gente.
Un giorno mi arrivò una lettera da un tizio sconosiuto, che mio fratello Luigi si trova prigioniero in un Lagher nelle vicinanze di Leipzig, e lavorava in una fabrica da zucchero, e per manco di vitto era alla fine delle sue forze.
Figuriamoci il nostro spavento. Qui bisogna andarlo vedere, abbiamo raccapato tutto ciò che si aveva, anche panni invernali per salvarlo dal freddo. Cariche siamo partite da Oppeln col treno per Leipzig, siamo arrivate nel pomeriggio, poi a piedi per arrivare quel campo, cosi si è fatta sera, siamo arrivate a sera, proprio nel momento che prendevano la razione della cena, formata di trè patate cotte, e la sua gavetta, era una scattola ruginita.
Il nostro incontro è stato molto lacrimoso, perchè era inaspettato. Poveri prigionieri, in che brutte condizioni li abbiamo trovati. Erano anni che non lo vedevo piu, poiche quando io ho lasciato l'Italia lui era in Africa a combattere, per che cosa poi non l'ho mai saputo, solo che i soldati, non sono piu tornati tutti, e quei pochi assetati e ammalati, e l'Abbissinia e rimasta dove era.
Il giorno dopo siamo tornate a cuore gonfio per lasciarlo in queste condizioni, e lui è rimasto fino dopo guerra, tornando con una forte depressione la quale lo corrode fino alla morte.
Anche Hitler ha fatto la medesima scoperta in Africa, come Mussolini, ma perchè il suo generale Rommel è tornato battuto senza aquisti, ha dovuto togliersi la vita sotto gli ordini del grande capo. Cosi andavano le cose quei tempi.
Appena potevo mandarle qualche pacco lo facevo volentieri, ma siccome era proibito il contatto coi prigioneri, li spedivo a una familia italiana che abitava là, credendoli gente umana, invece se li tenevano loro, e mio fratello non ha piu visto niente. Quando me ne sono accorta della truffa ho smesso di mandare roba, anche perchè non bastava piu neanche per noi.
Un giorno, mi chiese una brava donna del paese, se volevo un po di pane italiano, io stupefatta gli chiesi come mai possedeva quel pane, lei si mise a tremare e mi pregava di non dirlo a nessuno perchè aveva due bambini, io le ho promesso di tacere, ma non capivo ancora la grave situazione.
Allora lei incomincio spiegarmi la cosa, che suo marito era ferroviere, e che portava gli Ebrei nel campo di Auschwitz, e se lui aiutava l'uno o l'altro per la fuga, gli davano il suo ultimo pezzo di pane.
Io ancora innocente di tutto, le chiesi se vengano tutti dall'Italia, e cosa volevano a Auschwitz? Lei mi rispose, che li portavano là, sforzati, e non torneranno piu, e che la Germania ne teneva tanti di questi concentramenti per sterminare questo popolo.
A sentire questo mi sono spaventata tanto, che gli dissi di saziare i suoi bambini con quel pane, ma io non ne voglio. Forse tanti sapevano già di questo sterminio, ma non potevano parlarne, se nò andavano anche loro finire là, e facevano la medesima fine.
Un giorno mi arriva una lettera di un mio parente di S.Giorgio Piacentino, die nome Pancini Nino, che faceva il muratore da qualche anno a Auschwitz, mi chiedeva se potevo darle un aiuto a fuggire da quel inferno, e non poteva piu vedere con che trhattamenti bestiali che portavano gente umana alla morte.
Lui sapeva che io non abitavo tanto lontano da Auschwitz. Devo dire che da giovane avevo tanto coraggio, cosi una domenica mi sono messa in viaggio. Il bigliettaio è rimasto a vedermi ancora cosi giovane, e senza scrupolo andare in bocca al Lupo di mia volontà. Ho capito che mi voleva avvisare di non andare, siccome non vi era nessuno, a solo usato dirmi vedremo se tornerà.
Dopo un oretta die treno sono arrivata là. Mi sono messa su di un Autobus che andava anche al campo Nr. 7 ove viveva mio cugino.
Strada facendo vedo una colonna di prigionieri con la stella sul petto, in abiti rigati, teste pelate, solo pelle e ossa, occhi tristi e incassati, accompagnati da due guardie superbe con cani, pistole e fruste, quando uno cadeva, frustate, coloro che se lo volevano stirazare a dietro, altre frustate, quel momento credevo mi dasse un colpo al cuore.
Gli facevano anche tenere tutta la strada, cosi il Bus non poteva passare, sembrava lo facessero per far vedere le bravure della SS.
Da dopo che Mussolini combatteva con le sue armate contro la Germania, i lavoratori non erano piu cosi liberi, ma neanche prigionati del tutto. Però una guardia armata davanti all'entrata stava sempre impalata lostesso. Dopo tante domande, lo è andato prendere colui chè cercavo. A mè tremavano ancora le gambe per ciò che avevo visto strada facendo, e anche arrabiata con lui che mi fece venire a Auschwitz, per vedere cose simili.
Lui mi rispose che lo ha fatto a posta, che veda io con i miei occhi, poiche se lo racconta solo lui, non ci crederanno, disse anche di scriverle queste cose, lui non lo farà, perche era anche piu anziano di mè, ma questo brutale sterminio, fatto da gente umana deve restare nella storia.
Lui senza valigia per evitare il sospetto di fuga, siamo andati. Mi raccontava tutte queste bestialità per strada, oltre le camere a gas per soffocare gli Ebrei, quelle le fabricarono prima della guerra. Anche il Nino come muratore, e emigrante, quanti mattoni a messo per le mura dei Krematoi, mai sapendo per che cosa venivano usati.
Tutto un tratto mi disse che prima di partire vuol farmi vedere l'ultimo fabricato che dovette fare, ma non era ancora finito. Quando lo vidi, era come un campo cinghiato, senza tetto e ancora senza porte, forti muraglie, porterà il nome di Hermann Göring, mano destra di Hitler, e capo dell'aviazione tedesca, e dentro li ci mettevano le bestie feroci, e le nutrivano con essere umani. Quindi le bestie ebbero piu diritti su questa terra dell'uomo. Mi vergogna scrivere queste cose cosi amorali.
Dopo avere visto cose cosi disastrose, mi prese tanta paura, volevo tornare subito a casa, in fretta andammo alla stazione aspettare un treno che andasse verso il sud.
Arrivati là ci ferma subito un superbo della SS, con un cagnione al guinzalio, cercandoci i documenti. Nel sentire che si parlava una lingua strana, ci chiese come si parlava. Quando ha sentito che siamo italiani, con faccia brusca, ci disse, che non andrà a lungo, che parleremo anche noi tedesco, perchè anche l'Italia se la mettera in tasca la Germania, poi se ne andò.
Finalmente dopo tanto, arrivò un treno che veniva dalla Polonia, talmente pieno di Soldati. Su di una carrozza stava scritto, Monaco-München.
Quindi verso l'Italia, ma per salire, era solo possibile da una finestra, un soldato l'ha tirato sù, e con un po di mio aiuto ce la fatta a salire.
Bene o male ce la fatta arrivare alla sua casa. Fra i suoi famigliari. Mentre io rimasi in stazione fino che si fermò un cellerato, e me ne sona andata per la mia strada, anch'io. A mezzanotte sono arrivata anchio a casa, mia Sorella piena bi paura per il mio ritardo, ed io stanca da nondire e sconvolta per tutto cio che ho visto, ma dormire non potevo, mi passava sempre quella, colonna, di Scheletri davanti a gli occhi.
La guerra si faceva sempre piu grande, se anche la Germania fece soldati persino i ragazi di 14 anni, non le bastavano per tenere i fronti, cosi i nemici avvanzavano giorno per giorno. I bombardieri si divertivano scaricare le sue bombe notte per notte sulle città germaniche, non solo dannegiavano, fabriche e valorose architetture, e sempre tanti abitanti che ci lasciavano la vita.
Noi donne si doveva andare trè volte alla settimana, a scavare le trincee, per l'infanteria e piu larghe e fonde per i carriamati nemici. Sempre sotto sorveglianza dai nazisti in divisa con cani d'aiuto.
Le giornate erano lunghe per lavori cosi pesanti. Ci facevano anche fretta perchè i russi si avvicinavano. Ogni giorno arrivavano avvisi di morte in paese, fra i quali anche il secondo figlio di mio cognato di 17 anni morto per la patria. Il primo di nome Alfred, e il secondo Johan.
Eravamo al 1944, verso la fine, io non dormivo piu della paura per il mio Paolo, diffatti in ottobre non scriveva piu. Non essendo sua abitudine, mi rendevo disperata. Non per niente, perchè il 4 novembre mi arrivò l'aviso della sua morte. La mia disperazione non ce la faccio a descriverla.
Dieci giorni dopo ci è stato fatto il funerale in chiesa, sei soldati d'onore attorno al catafalco vuoto, poiche lui doveva gia essere stato sepolto chissa dove. Di ricordo ho ricevuto il suo portafoglio vuoto, le mie foto che portava chon sè, mancavano.
Quindi a mè rimase solo il cuore spezato, e gli occhi da piangere. L'ultima volta che è stato a casa in licenza, abbiamo passato giorni belli insieme, dieci giorni sono passati presto, tanto piu triste e stata la partenza.
Io l'ho accompagnato alla stazione a Oppeln, strada facendo si fermava ogni tanto, credendo di avere colla sotto le suole, i passi non scorrevano, cosi malamente arrivammo alla stazione, appena in tempo, che già arrivava il treno, ha potuto soltanto aggrapparsi alla stanga di ferro vicino alla porta, e con la mano libera, mi salutava fino che il treno scomparve dietro la curva.
Forse sentivamo tutti e due di non vedersi piu. Anzi un giorno mi disse, che se percaso lui non tornasse piu, di non compiangerlo tutta la vita, disse che io sono ancora tanto giovane, di acompagnarmi ancora con una brava persona.
Povero Paolo, quanto era nobile di carattere, e di tutto. Neanche passate tre settimane, dopo la sua morte si doveva lasciare il paese, la casa e tutto quanto che si aveva, perche i russi si avvicinavano, e il detto di che facevano con le donne, era spaventoso, il primo alarme di andarsene furono le campane del campanile, e poi con tanti altri mezzi ci costringero andarsene.
Il subbuglio in paese era grande, la paura ancora di piu, cosi anche noi due si mischiammo fra i profoghi, con la nostra slitta, che conteneva panni e abiti invernali, perche faceva gia un freddo terribile. Le strade gelate dalla neve, la grande folla che ingombrava il passaggio, e le cannonate dei due nemici che si battevano a vicenda.
Anche le squadre di soldati non cantavano piu la famosa canzone (Oggi nostra la Germania e domani tutto il mondo). Quella è stata certamente scritta da Hitler. Nessuno chiedeva la direzione, basta andare, come fanno le pecore, dove va la prima davanti tutte le altre a dietro, basta allontanarsi dal fuoco.
Di giorno si andava, ma di notte si cercava riposo, specialmente sulle stazioni ferroviarie, su di vecchie rotaie, si trovava sempre, qualche treno a merce, o vagoni da bestiame, quelli almeno erano chiusi, si sentivamo un po piu riparati dal freddo, chi taceva, chi piangeva e chi russava.
Il dolore della morte del mio povero marito, mi distrugeva, in modo che mi ammalai, colpevole erano anche gli strapazi, e il freddo.
In una cittadina, con un po di fatica, trovai un vecchio medico, molto gentile, e non volle nemmeno essere pagato, perchè non poteva darmi medicamenti, non ne aveva piu, e la diagnosi polmonite. Mi disse di stare chiusa nel vagone e coprirmi bene per un pò di giorni, e mentre mi chiudeva la porta dietro le spalle, mi diceva di farmi coraggio, che sono ancora giovane, ce la farò.
Mia sorella si dava daffare, di giorno precurarmi un po di roba calda. Intanto il nemico si avvicinava. I camionisti militari presero ordine, se possibile, di aiutare anche i profoghi a fuggire, e anche noi ci caricarono su di un veicolo pieno di munizione.
Quando si siamo accorte di essere sedute su di un pericolo cosi forte, abbiamo fatto fermare subito il conducente, con la scusa, che la in cima viera troppo freddo, noi si andava piu volentieri a piedi, tirando la nostra slitta si scaldavamo un po di piu, cosi si mischiammo ancora fra i profoghi in tanto si allontanava semepre un poco dal nemico a Reichenbach.
Due vecchietti ebbero comprenzione del mio mal essere, e ci diedero allogio in casa sua. Quanto desideravo un letto. Nell'entrare in quella casa vidi subito diverse fotografie di Hitler appese ai muri, pensai che costoro siano nazisti tifosi. Subito gli dissi alla Emma di salutare col saluto (Heil Hitler) senò non ci danno da dormire.
Il giorno dopo la vecchia, ci disse che potevamo restare un po di tempo, ma da mangiare non ne avevano per noi, e ci dissero che in città, cè ospedaleto provisorio per i primi feriti del campo di battaglia, i medici ci saranno grati del nostro aiuto. E là avranno anche da mangiare per noi due.
La soluzione non era male, noi due arrivate là con proposta d'aiuto, era come cadesse la manna dal cièlo. Il capitano capo medico, ci fece vedere i feriti, e cosa dovevamo fare. Noi due spaventate per vedere un macello simile, tutti mezzi mitraliati chi non aveva piu gambe, chi non aveva piu braccia, chi era tutto tritolato, un solo lamento, morsicavano le coperte per soffocare il male. Si poteva dirlo forte, poveri ragazzi.
Chiesi l'uno e l'altro, se dovevo avvisare i suoi genitori, tutti erono al contrario. Non volevano farsi vedere in queste gravi condizioni, dai suoi.
Tutto questo succedeva in gennaio 1945. Nelle due settimane del nostro aiuto, morirono tanti e arrivavano sempre altri feriti, cosi il lavoro per gli ufficiali medici, non cessava ne notte e ne giorno.
Un mattino della terza settimana, arriviamo là come solito, vi era un subbuglio in moto, soldati che caricavano i camioni, altri la corriera degli ufficiali, altri le marmitte, noi due sorprese di tutto, abbiamo chiesto al capitano cos'è successo ? Dobbiamo scappare ci disse tutto agitato, il nemico ci sta alle spalle, e ci ringraziò tanto del nostro aiuto.
Noi due piangendo abbiamo chiesto se non potevano portarci con loro, sulla corriera, per primo disse che non poteva prendersi responsabilità per gente civile, poi si sentì intenerito dalle nostre lacrime e ci disse di si. Di corsa andammo a prendere il nostro bagaglio e poi siamo partiti con loro verso Bautzen.
La neve sulle strade e calpestata dai profoghi, ed anche ingombravano il passaggio, con le sue carrette e slitte ed altri mezzi primitivi. A mezzo giorno si fece una piccola pausa per mangiare qualche cosa.
In tanto che i soldati preparavano le marmitte, un medico salì sulla corriera con un canocchiale per spiare i d'intorni pieni di boschi. Spaventato scende subito gridando di lascìare li tutto e andarsene in fretta, perchè nel tal bosco erano nascosti carriarmati russi.
Senza complicazioni arrivammo alla città die Bautzen. La nostra slitta con legato su la nostra roba e i panni da coprirsi, non sapeva piu nessuno su quale camion era andato a finire, il capitano ci calmava, dicendo di occuparsi lui del nostro bagaglio, di trovarsi il giorno dopo in piazza grande, che verrà un soldato con la nostra roba, e di essere puntuali per le ore nove.
Per fortuna quella notte ci prese in casa una brava familia, se nò non avevamo da coprirsi. Al mattino dopo, pontuale come un orologio, arrivò un soldato con il nostro bagaglio assiene un bel pacco, e ci disse, che quello lo mandava il capitano,cioè il capo medico, per ringraziamento dell'aiuto che le abbiamo dato quasi trè settimane, nell'ospedaletto militare. Quanto era brava quella persona con i suoi pazienti e anche con noi a mandarci un po di viveri nel pacco, cosi per un po di giorni, abbiamo gustato roba che da tanto non se ne mangiava piu. Ora eravamo un po piu rinforzate per metetersi ancora in cammino con gli altri profoghi.
La prima città dopo qualche giorno di cammino era Dresden, come detto, la seconda Firenze del nord, l'attraversava il gran torrente Elbe.
Non avendola vista prima, nessuno poteva immaginarla cosi bella, poiche noi ci siamo passati 10 giorni dopo la famosa calpestata, di una sola notte dai bombardieri nemici, l'hanno messa a suolo completamente, quanti morti fra gli abitanti ci sono rimasti, tutta gente innocente, ci puzzava ancora di fumo, per tutti gli incendi causati dalle bombe, la città era morta completamente, l'aqua dell'Elbe si portava ancora cadaveri con sè.
Anche lì non si è mosso nessun alternato a farle una fine. Si puo dire che coloro che ci sono rimasti quella notte, prima di andarsene hanno visto l'inferno sulla terra. Sterminii causati da esseri viventi. Cose da non credere mai, eppure succedono ancora adesso nelle nuove guerre.
Per fortuna che si pretendiamo piu civilizati di 60 anni fà. Sono stati fatti tanti inventi technici, ce l'hanno fatta a salire persino sulla luna, ma per formare una pace globale su questa terra, non è ancora nato nessun genio.
Tornando alla nostra fuga. Qui si cercava di passare questo deserto al piu presto possibile, anche perchè si avicinava la notte, si doveva cercare rifugio, il freddo era ancora rigido nel gennaio del 1945.
Gli amici e nemici combattevano accaniti come cani rabiosi, il rombo dei cannoni si sentiva un po piu lontano, sembrava che facessero un po di sosta, intanto anche noi comincivamo a stancarsi. Abbiamo pensato di andare ancora fino a Meissen, la città della porcellana.
Piu nota d'Europa, e li dentro trovammo ambienti sgombrati per i profoghi. Le fabriche ci diedero rifugio, se anche si dormiva al suolo, su paglia bondante, ma eravamo riparati dal freddo.
Li ci davano un po di brodaglia calda. Quindi, ora li dentro si siamo rese al destino, vadi come vuole, avanti non andiamo piu. La fine della guerra non può essere cosi lontana, erano gia cinque anni che si battevano, i morti superavano già migliaia, non solo sui campi di battaglia, i famosi crematoi si davano daffare per arrivare a cifre ancora piu alte.
Si sparsero voci che gli americani si volevano incontrare con i russi al fiume Elbe. Certo che noi, come gli altri, si volevano trovare dalla parte americana. Dopo trè giorni di sosta a Meissen, potevamo andare in paesi di campagna, in casa di familie che ci tenevano fino a fine guerra, nessuno pensava che durasse ancora tre mesi.
Siccome che oramai Hitler si vedeva circondato da tutte le parti, volle fare uno sforzo, e mostrarsi un po umano, dando ordini di proteggere i profoghi, e obligare le familie a prenderseli in casa.
Sperando d'incontrarsi con gli americani, andammo anche noi due. Ci vennero a prendere con carri campagnoli, e siamo arrivate a un paesello di nome Heiniz, a casa della familia Fesel, formata di trè persone, marito, moglie e un figlio di 13 anni.
Lì avavamo finalmente un letto, se anche in due. Forse anche loro si trovavano a disagio come noi a esserci per i piedi tutto il giorno, poi anche il manco dei viveri, per due persone di piu. Dopo un po di riposo, dissi alla padrona che noi due siamo sarte, e saressimo andate casa per casa a cucire, anche solo per il mangiare.
La novità fece la ronda in paese come il vento d'aprile, tutti ci volevano, poiche erano cinque anni, che non esistevano piu negozi di moda, si cucivano solo uniforme militari, e divise naziste, sempre sotto ordine del Führer. Con un po di fantasia, dalla roba vecchia, si ricavava quasi fuori nuova. Per fino a fine guerra abbiamo avuto lavoro, cosi ci siamo contentati tutti. Quante patate ci fecero inghiottire, ma anche pane e latte non mancava.
Febbraio e marzo del 1945, sembrava che le truppe si fossero calmate un pochino, le cannonate si sentivano piu rare, di americani non si vedeva nessuno. Questo mutamento dava un mal pensare, i nemici preparavano l'ultima offensiva. Si dice che la coda del pollo è la piu dura da spennare.
E diffatti i guerieri il mese d'aprile, si attaccarano bestialmente di nuovo, o perdita o vincita, prima di tutto, è stato distrutta completamente la capitale, Berlino. Anche lì Hitler non si rende, i tedeschi indietreggiava e i russi avanzava, botte contro botte, morti su morti, da seppelire i camerati non aveva piu tempo nessuno.
Noi donne si faceva la parte del becchino, scavare le fosse nei cimiteri vicini e calare i rigidi cadaveri, involti in coperte cerate, trè per trè in una sola tomba, e sudiuna semplice croce di legno, stava scritto, i trè Ignoti, perchè non avevano piu la piastrina al collo, per poter indificarli. Forse di rabbia o di vergogna la buttavano per non essere arrivati alla vittoria, dopo tante fatiche.
Una domenica alla fine d'aprile bella e soleggiata, mia sorella si fece dare un.
Canocchiale da Fesel per vedere qualche rarità nella fauna in quelle campagne, mentre splorava una boscaglia, credendo di vedere qualche capriolo, invece vede una sfilata di carriarmati fermi e decorati con falce e martello, l'emblema russa.
Lei corre a casa tutta spaventata, gridando che ci sonoi russi nel bosco, tutto prima il padrone di casa non ci voleva credere, ma vedere la Emma cosi sicura del fatto, diede conoscenza del fatto al paese, oramai non vi era piu via di scampo.
Nel pomeriggio arrivano i carriarmati russi in paese. Non trovando piu un soldato tedesco, una parte di loro fecero sosta in paese, per tutta la notte. Il sig Fesel essendo sindaco, diede ordine di uscire di casa e mettersi sulla strada come quasi un cenno di buon arrivo.
Dopo loro, è arrivata anche l'infanteria, e verso sera vengono cinque soldati, fra di loro anche un ufficiale, e il piu piccolo portava sulla spalla un mezzo maiale ucciso di fresco, per friggerlo in casa nostra. Con calma arrivo anche l'ora di cena, si portarono anche la sua Wodka da bere.
Anche noi dovevamo mangiare con loro come fossimo una familia. Era un piacere vederle colare il grasso sul mento, segno che mangiavano di gusto, la serata si è volta senza problemi, la notte si fece tarda, l'ufficale ci disse a noi due di andarsene a letto, e noi siamo andate, tutte due in un lettino.
Poco dopo sale su anche il tenente, stupito di vederci a letto vestite e tremanti, ci chiese che cosa racontava i tedeschi di loro, che abbiamo cosi paura, non essendo possibile capirsi, ci diede la buona notte in russo e se ne andò. Quella notte non ci ha monestato nessuno.
Il giorno dopo se ne andarono questi, e arrivavano altri, in paese ci era un movimento di soldati che sembrava un formicaio sconvolto. Un soldato di nome Peter cercava allogio per il suo capitano, parlava bene il tedesco, la Emma disse, ma qui cè un santo che prega per noi, fino che i soldati sanno che in questa casa ci sta il capitano Skibinski, abbiamo pace. Ma lui non era tanto entusiasto del daccordo che avevamo fatto con Peter non voleva venire. Quando ha saputo che noi due eravamo italiane acettò la proposta.
Il 5 maggio 1945 è finita la guerra, finalmente cessarono le sparatorie.
Il bolcevismo ha vinto contro al nazismo, quanta Wodka hanno bevuto i russi, il giorno della vittoria ma ancora piu lacrime hanno versato, mamme e spose che lasciarono figli e sposi, per un folle idealista, che sognava di aquistare tutto il mondo. Ero anch'io una di quelle spose, che piangeva per la morte del marito. Le bandiere rosse, con la falce e martello sventolavano persino su gli alberi, mentre in Germania, sventolava solo qui e la vessilli neri, segno di lutto.
La cenere di Hitler si sparse al vento, e di lui non se ne parlo piu. I capi dei campi di concentramento, sono volati oltre oceano, a passare una bella vita nel Brasile, o, altrove, portandosi sacchi pieni d'oro tolto a gli Ebrei.
Tornando al gentile capitano Skibinski proveniente dalla Ukraina, una persona nobile, già su d'età, stanco, parlava poco, ma pensava molto. Della mia vedovanza non sapeva niente, ma mi vedeva sempre triste. Non sapendo della mia sorte, ha pensato che ora vogliamo andare in Italia.
Lui diede ordini al suo tendente e interprete Peter, di procurare due fasce bianche, da metterci al braccio destro, e lui le ha stampate in russo: Italianski. In tanto quelle le portavamo sempre per farci portare piu rispetto dai suoi soldati.
Poi fece organizare da Peter due biciclette, poi proviante, se possibile piu riso che altro, perchè avremo un lungo viaggio. Una sera arriva lui con due Laterne da stalla a petrolio, e disse che queste sono per la notte, ci faranno bisogno anche loro, ma di non mettersi per strada ancora, perchè i suoi soldati erano ancora troppo selvaggi con le donne, non capiscono ancora, che dopo querra ci sono altre regole, si deve rispettare il nemico perchè non è piu nemico.
Un giorno vidi un ufficale seduto per terra allenato ad una quercia, e trè soldati che lo schiaffeggiavano. Chiesi al capitano se i suoi soldati avevano cosi poca disciplina verso i suoi superiori, lui mi rispose, che se non gli davano la corda un po lunga, non avrebbero vinto la guerra.
Una sera venne un abitantè del paese, chiedere aiuto dal capitano, perche i suoi soldati ne busavano troppo con le donne del paese senza differenza di età.
Il capitano Skibinski si è arrabiato, le rispose che il nemico in Russia ha fatto cose piu disastrose con le donne, non ha mai chiesto aiuto nessuno. Per il primo momento si è ribellato di andare, ma poi ando lostesso a far ordine nelle case.
Dopo una diecina di giorni se ne dovette andare anche lui con il suo tendente Peter, ma ci pregò tanto di aspetare ancora qualche settimana, e di nascondersi, perchè non ci sara piu lui a proteggerci. La sua partenza ci lascio tanto vuoto in casa Fesel, e nei nostri cuori per la sua bontà verso di noi due sorelle. Per questo che lo accenno in questo libro.
Partiva una compagnia arrivava l'altra, e non erono tutti uguali, allora il padrone, ci nascose in un angolo sotto il tetto, vicino il camino, con l'aiuto di una scala portabile si poteva salire. Il ragazo faceva da guardia quando cera l'aria libera, ci facevano scendere a mangiare, e poi si saliva ancora, e si doveva sempre star coricati per manco di alteza. Il paese sempre pieno di soldati, chi andava e chi veniva, sembrava che la Russia fosse tutta in Germania.
Dopo due settimane, si vede che ci fece la spia qualche d'uno, una notte due soldati vennero a cercarci e perchè non ci trovarono, volevano uccidere la padrona di casa, hanno preso un spavento terribile, cosi il giorno dopo ci fecero scendere dal nascondiglio come dire ora arrangiatevi da sole.
Dopo due giorni venne la vicina di casa, a chiederci di andare in casa sua, siccome era sola e aveva tanti soldati attorno al tavolo, che volevano compagnia. Io gli dissi subito, per che cosa siamo state nascoste cosi tanto, e adesso le andiamo di nostra volonta a riverirli, ma lei insisteva sulla promessa che le hanno fatto, die essere bravi soldati, fra di loro anche due ufficiali.
Noi due paurose e pallide siamo andate, loro erano in buona armonia con il suo bicchierone pieno di Wodka, ci fecero sedere. Anche a noi ofrirono Wodka nei bicchieroni, in tutto si mostrarono molto generosi, ma la nostra seduta non andò a lungo, perchè il mio vicino di sedia si allontanava sempre piu da mè, poi mi fece chiedere dal tenente se sono ammalata.
Quella mi è stata una domanda un po indiscreta e inaspettata. Si era sentito che in Germania, i russi gli ammalati li liminavano, per mè questa domanda è stata come una freccia, mi sentii una voce interna che diceva, dille di si, cosi ho fatto, chiesero quale malanno? Sapendo che la tubercolosi è internazionale, hanno capito bene tutti, con questo erano tutti daccordo che se ne andassimo a casa tutte e due.
Questo e stato la nostra salvezza, loro sparsero le voci in paese, di non monestare le due italiane che sono ammalate, con questo non cè stato piu bisogno di nascondersi. Certo che il lungo nascondiglio sotto il tetto ci distrusse mica male, e sempre sotto paura, quando sentivamo scarponi chiodati su e giu per le scale in cerca di femmine.
Intanto i giorni passarono, l'estate si faceva sentire, e il desiderio di andarsene a casa di nuovo si faceva sempre piu forte. Alla metà di giugno del 1945 abbiamo deciso, il nostro ritorno a Vogstorf vicino a Oppeln.
La massa militare cominciava diminuire, e calmarsi. Abbiamo caricato le due biciclette, con i viveri dati dal capitano Skibinski, i nostri panni da poter coprirsi di notte e cosi via.
Il congedo dalla familia Fesel è stato triste ambo le parti, poiche ci ospitarono piu di quatro mesi in casa sua, e sempre cordiali e gentili. Quando si pensa che non eravano ne parenti, ne amici, al nostro arrivo, eppure si siamo presi ben volere, loro buoni, e noi rispettose. Per ringraziamento non ci restarono che buone parole, poiche di paga non se ne parlava, il Marko tedesco fu svalutato con l'inflazione, cosi aveva piu niente nessuno, per riccordo li restò solo la nostra slitta e un pezzo del nostro cuore, con un ricordo eterno.
Eccoci ancora in viaggio, ma non piu sotto il rombo del cannone, solo qua e la il rumore dei carriarmati che facevano ritorno. Noi si doveva andare anche molto a piedi, perchè quelle regioni erano molto vallegiate, e spingere, era sempre meno faticoso che portare. I russi non tutti conoscevano le biciclette, per loro era un veicolo molto interessante, tanti volevano imparare, ma quanto si sgonfiavano le gomme, la buttavano credendo che fosse rotta. Per loro era una "Mascinka" molto strana.
Topo un po di giorni di viaggio, passavamo un paese, dove da tutte e due le parti della strada, sostavano soldati russi. Nel passando sento che uno di quelli dice all altro "mascinka carascho": Che belle biciclette. Dissi alla Emma a malincuore che saremo a bici per piu poco. Mi Diceva perchè provedo queste cose.
Salite fino al bosco ha visto il perche. Quei due soldati ci seguirono su di una bici sola. Ci fermarono, mettendoci la pistola sotto il mento, e sforzarci di darle la "mascinka". Anche protestare, che la guerra è finita, non hanno piu diritto di rubarcela, intanto che io mi difendevo in quel poco russo che avevo imparato, quell'altro aveva gia un coltello in mano, e tagliava i legami del nostro bagaglio, per liberare la bici, il nostro piangere e gridare non valse a niente.
Uno tornava in dietro con una, e l'altro con le nostre due, non essendo tanto capace, ogni tanto cadeva.
Io piena di coraggio, buttai le ciabatte, e a dietro correndo piu che posso, pensando che fra tutti coloro che sostavano ci sara qual'cuno che mi aiuta.
Mi viene incontro una macchina aperta con su quatro ufficiali, io mi misi in mezzo alla strada, a braccie larghe per fermarli, ma loro si fermarono lostesso, perchè avevano gia visto il caso. Fermarono quello delle due bici, con ordine severo di darmele indietro, ma lui si ribellava dicendo che le bisognavano a lui.
Allora uno die quatro tementi usci dall'auto, e gli diede uno schiaffo, ancora non molla, dopo due altri schiaffoni ha ceduto le biciclette e se ne ando.
Mi dissero di non avere paura, che quello non ci seguira piu. Col suo saluto militare so ne andarono, ed io ancora tutta sconvolta spingevo le due bici ancora verso la sorella. La gli dissero che la sorella arrivera ancora con le due "mascinkas". Mamma mia che spavento quel giorno.
Quella sera cercammo allogio prima degli altri giorni, trovammo nascondiglio sotto un portico.
Dopo la commedia di quel giorno, abbiamo preso una decisione, di spogliare le ruote delle biciclette, detto e fatto, cosi le gomme le abbiamo nascoste nel nostro bagaglio. Si potevano spingere anche a cerchi vuoti, e nessuno potrà dire che erano belle, e non si correva neanche piu il pericolo di farsele rubare.
La fame non l'abbiamo sofferta, se anche il nostro riso si e finito. C'e sempre una soluzione nella nostra vita. Ricordo che una Domenica suonava il mezzo giorno, in un paesello di campagna, la sorella mandava sempre mè in cerca di vitto, lei non osava. Io vidi una fattoria un po fuori strada, e sono andata a bussare.
Dopo tanto mi viene ad aprire una donna sulla trentina d'anni, svogliata, ma bella, di un biondo naturale, occhi azurri, mentre apre una porta di poca importanza, mi venne un'ondata di vapore caldo in faccia, con sapore di patate cotte, lei non mi lascio neanche chiedere, disse subito che non hanno niente per me, io rigida come sempre gli dissi che sento cosi un buon odore di patate cotte, lei subito, ma non sono per noi, solo per i maiali, è una sorta molto grossa, io dentro di mè pensavo, tanto meglio, intanto insistivo, che se non muoiono i maiali, non moriremo neanche noi, allora un po da cattiva alzo il coperchione di quella paiuola e mi pesca su un affare grosso come un melone.
E prima che chiudesse mi affrettai, a chiederle un altro anche per mia sorella, con cattiveria, ma me la data, non aspettò neanche ringraziamento, mi chiuse la porta con sgarbo. Intanto io correvo verso l'Emma, balanzando quei due palloni perchè scottavano. Si siamo sedute all'ombra di un albero, e si siamo mangiato le patate per maiale, e non erano poi tanto cattive da mangiare.
Giorno per giorno, i kilometri diminuivano, e noi avanzavano verso l'alta Slesia. Strada facendo si sentiva a dire, che quella Regione se la prese ancora la Polonia, quindi regnava gia la moneta polacca cioe, Sloti.
L'ultima sosta che abbiamo fatto, come solito, bussare in una fattoria, ci apri una donna di non aria cattiva, eppure si mise a gridare, dicendo se volevamo rubarle le lenzuola, come fecero gli ultimi profoghi, e chiuse di nuovo la porta.
Noi pensavamo gia di dormire nella stalla. Ma intanto si siamo sedute sulla panca, di fianco alla porta. Dopo un poco, la padrona esce ancora, con energia si mise i pugni sui fianchi, e disse, se facciamo conto di dormire sulla panca, e quella benda sul bracio, cosa significa, io gli risposi che non portiamo in giro la croce rampinata socialista, significa soltanto che siamo italiane, e noi non avressimo mai rubato un lenzuolo.
Per dire la verita non abbiamo neanche mai dormito in un letto durante il viaggio. La donna diventava anche sempre piu umile. Ci disse di non mettersi per strada, oramai sta calando la notte, sarebbe pericoloso.
Tutta gentile ci fece entrare in casa, invitandoci a tavola, poiche aveva le patate cotte, con latte cagiato, e latte da bere. È rientrato anche il marito dal lavoro, anche lui si dimostrò tanto fabile, era tanto interessato che parlassimo dell Italia, e tante altre cose.
Per fortuna che abbiamo bevuto solo latte, che se avessimo bevuto vino diventavamo quasi parenti, e cosi siamo andati a letto da bravi amici. Come era bello dopo tanto, dormire in un letto.
Al mattino dopo, sembravamo due marmotte che si svegliano dopo il sonno invernale. La padrona di nome Berta preparo uno buona colazione, pane, burro, uova, latte etc. Tutta orgoliosa, ci diceva che le sue mucche erano anche le piu belle dei d'intorni. Si vede che non avendo figli, era affezionata alle sue bestie. Ci volevano tenere ancora un giorno, ma la curiosita di arrivare a casa, e se vi era ancora tutto cio che avevamo lasciato, era grande, poiche eravamo sicuri di arrivare in giornata. Anche loro hanno capito la nostra situazione.
Allora la buona Berta ci fece un buon fagotto di viveri alimentari, un pane rottondo che sembrava una ruota, e una bottilia di latte per la sete. Ci diceva anche di venire ancora, in caso di bisogno, che avevano un nascondiglio sotteraneo, bastava anche per noi, per fortuna che i russi non l'anno trovato.
Il padrone vedendoci partire con biciclette a cerchi nudi, quanto ridere che fece, poi anche per il rumore che facevano su quelle strade fornite di quadri mattoncini di cemento. Anche lì, il congedo fu affetuoso molto, peccato, che piu di un forte ringraziamento non abbiamo potuto darle, ma loro non volenvano neanche altro. Pronte per l'ultima tappa, se ne andammo.
Quanti giorni di cammino che abbiamo fatto, non lo so piu, allora si viveva senza orologio e senza calendario, si viveva solo per la propria salvezza.
Il mezzogiorno ce lo segnava lo stomaco, e qualche ritocco di campana da lontano, e la stanchezza segnava la notte. Quindi la prima sosta, sotto un albero all'ombra perchè portavamo ancora gli abiti invernali mai pensato di dover assentarsi da casa cosi a lungo.
La Emma mentre si mangiava quel buon pane spalmato con strutto di maiale, disse che dovremo ringraziare l'alto dei cieli, che ci mandò la Manna. Invece io pensavo differente, dissi sara meglio una buona riconocenza alla Berta, lei diede a noi la Manna.
Parlando, gli ricordai quella notte che abitavamo ancora a Vogstorf, che il cielo si era scurito di velivoli stranieri, buttarono gli alberelli illuminati per vederci piu bene, dove buttare le sue bombe. Ma ogni tanto il vento se li portava con sé, e allora non potevano proprio a suo piacimento far centro. In tanto ci rimetteva il popolo innocente.
Una notte spaventosa come quella, mai vissuta, noi due dentro la nostra tana che si eravamo scavata sotto terra. La sorella che aveva sempre fame piu di mè, le viene in mente la razione che era per il giorno dopo, e disse, che questa notte non la sopraviviamo, ma se deve morire vuole a stomaco pieno.
Però il coraggio di lasciare il nascondiglio non l'aveva, per andarsene in casa a servirsi, cosi abbiamo aspettato fino che i piloti fecero una piccola pausa, intanto una di noi scappò in casa a prendere la desiderata razione. Se anche il giorno dopo non vi era piu niente per la gola, ma ci e rimasto una cosa piu grande, cioè la vita. Forse questa grazia la dobbiamo a Dio.
Finita la discusione si siamo messe ancora in marcia, per le ultime ore di viaggio, sempre spingendo le due ruote di ferro che portavano il nostro bagaglio.
Giugno 1945 siamo arrivate a destinazione, a Vogstorf presso Oppeln Altaslesia, ora ancora regione polacca. Dall'emozione, persino il cuore prese un altro battito, su di un filo, si ondeggiavano le nostre vesti estive al vento, si vede che le portavano le mie nipote, forse pensavano che noi due non tornassimo piu.
La cognata piu spaventata, che contenta del nostro arrivo, ci disse subito, che non possiamo piu abitare nella nostra mansarda, che ora la usano le sue figlie. Di cercarsi una casetta, ancora abbandonata dai profoghi, tanto prima o poi vorrete andare in Italia.
Questo è stato il ricevimento fatto a noi due, da mia cognata Gertrud, dopo il nostro faticoso arrivo. I primi problemi da risolvere furono, documenti della morte di mio marito, danaro polacco per il viaggio di ritorno col treno, in Italia, per vivere si poteva fare cambio merce sul mercato, il Marco tedesco è fallito subito fine guerra, quindi si siamo trovate completamente a mani vuote.
Si puo figurarsi, che dopo due mesi di pace, non esisteva ancora, ne ordine e ne regole, quindi lì regnavano ancora i conquistatori, cioè i Russi.
Una casetta vuota l'abbiamo trovata senza fatica, la nostra roba che avevamo nascosto prima di sfollare, l'abbiamo trovata ancora tutta, quindi per vivere, merce contro alimentari, e per fare danaro, vendere contro Sloti, valuta polacca. La mia prima vendita e stata il nio Bambolotto, sembrava un piccino di trè mesi, siccome non era possibile avere figli, durante una guerra cosi straziante mi ero affezionata a lui. A malincuore la presi in braccio e lo portai al mercato, tutti ammiravano il mio Albertino, dicendo "Dobge Laica".
Ed io non avendo nessuna idea della valuta polacca, ho fissato il prezzo di 400 Sloti, tutti lo volevano, ma solo per la meta, invece io insistevo, piutosto la porto ancora in Italia. Ricordo che il primo a ofrirmi 250 Sloti, era un vecchietto, con il mio poco polacco che parlavo gli feci capire che quel prezzo era troppo basso, e andavo con il mio pupo in braccio.
Un altro che da tanto mi seguiva, mi ofre 300, allora pensai, che non ho neanche tanto sbagliato con il prezzo da mè fissato, e me ne andavo, dopo un po di giri, mi avvicina una signora anziana, a tutti costi vuole il mio Albertino a 400 Sloti.
L'ho dovuta seguire a casa sua, perché non ne teneva cosi tanti con sè. Se anche feci un buon affare, tornai a casa piangendo. Ora che mi sono orientata un poco col commercio, ho pensato al nostro capitale, cioè le Biciclette. Le abbiamo pulite e lucidate per bene, coperti ancora i cerchi con le sue gomme e vendute, con fatica per 900 Sloti tutte due insieme. Cosi si fa far soldi.
Intanto i giorni passavano, il caldo di luglio si faceva sentire abbastanza forte, in modo che l'aria s'infettava sempre di piu, causa dei cadaveri non stati sepolti, soldati, cavalli, e altre bestie, col tempo l'erba è cresciuta, nessuno piu lavorava i prati e campi, e cosi l'aria spargeva i Bacilli tifosi, formando una grande Epidemia.
Mia sorella che è sempre stata come l'ucello del mal augurio, si è presa un forte Tifo, accompagnato da forti Febre. Questa sfortuna non credo di averla meritata, dopo tutto il disagio passato. Eppure il destino non tiene il volante da poterlo girare a modo nostro, cosi il nostro piano prese tutta un altra strada.
Cercare un medico, era come cercare un ago in un prato, medicine ancora meno, e a mè restava altro che dissetarla, giorno e notte perchè le bruciavano gli intestini dalle febri alte a 42. Io non ho avuto nessuno aiuto, tutti avevano paura da contaggiarsi, dopo tre settimane, la Emma va in delirio, disponeva di sotterarla sotto la tale quercia che là ci sarà per sempre ben fresco.
Io sola e disperata me ne andai per strada chiedendo a tutti aiuto, tutti crollavano il capo, finalmente una buona creatura, mi consigliò di andare in un campo prigionieri Russo, la avranno forse un medico. Girando trovai un Lagher.
Alla guardia del cancello reticolato, gli spiegai la mia grave situazione. Lui gentilmente mi desse, che fra i suoi prigionieri ci stà anche un medico italiano, di entrare pure e chiedere fin che l'ho trovato.
La prima domanda potei farla a trè ragazze della Grecia, sedute per terra, non avendo ancora la forza di stare in piedi, gli occhi infossati, i capelli cominciavano a crescere, ma la forma del corpo ancora scheletrata, in fondo ho capito che erano le trè sopraviventi tolte sopra il mucchio dei morti, siccome fiatavano ancora, le tolsero lavoratori italiani, e mettendole su di asse di legno e stirazzarle per le strade nevose.
Questa buona opera, l'hanno potuto fare, perchè i concentramenti di Auschwizt furono abbandonati dai suoi barbari, avendo gia alle spalle le armate Russe.
Finalmente ho trovato il dottore medico che cercavo, un ufficiale di Torino, buono e bravo, ma anche lui era prigioniero. Gli spiegai la situazine grave della sorella, per primo mi disse che non potrà fare tanto, perchè il comando nel campo lo ha la dottoressa russa, lui è sottemesso, ma farà del tutto per ottenere un poco di Chinina, altro non hanno, poiche regna il Tifo anche fra di loro prigionieri.
Tanti morti hanno gia avuto nel campo per manco di medicine. Gli dovetti spiegare dove si trovavamo di casa e in che paese. Piangendo e sperando ad una grazia, tornai a casa. La Emma sempre colpita do alta febre, non calava di un grado.
Quella notte abbiamo avuto visita in aspettata. Non avendo chiave di quella casetta, la fermavo, dall'interno con un tronco d'albero, ogni notte. Si vede che quei due giovani soldati russi erano dell mestiere, hanno sollevato la porta, il tronco cadde e loro sono entrati, con una lampadina in mano, circavano ogetti da portarsi con sè, ma la mia paura era per la Emma.
Gli raccomandai di non monestare quella creatura, che è molto ammalata, ma loro si accontentarono, rubarci, la sveglia, e altre cosette, e poi se ne andarono. Ed io ebbi il mio daffare a mettere su ancora la porta die casa.
Il giorno dopo come un miracolo mandato da Dio, arriva il desiderato dottore, italiano, accompagnato da un soldato russo, su di un carro tirato da un vecchio cavallo. Quando vide la condizione della Emma, mi disse sotto voce, che oramai è troppo tardi, proviamo se la Chinina le fosse d'aiuto, poiche altro non hò.
Se anche veniva tutti i giorni, di miglioramento non se ne vedeva. Un giorno ha sentito dalla dottoressa, che la settimana entrante, spediranno un con voglio di prigionieri in Italia. Il suo piano era di portarci noi due nel suo campo, e poi a mia responsabilità di partire con quel trasporto, composto di vagoni a bestie, il viaggio durerà al minimo due settimane, ma se ce la facciamo arrivare al Brennero, la croce rossa la portera subito in un ospedale, e disse che questa è l'ultima speranza di salvarla.
Mi raccomandò di bollire aqua per tutto il viaggio, per tenerla dissetata. In tanto sono venuti col medesimo carro a prendere la Emma, scancrando una finestra hanno potuto trasportarla sul suo lettino, che poi le sarebbe servito anche sul treno a merce. Dopo due giorni, mi sono venuti a prendere anche mè, con il carro, per portare anche le casse piene di bottiglie d'aqua bollita e i nostri bagagli. Alla fine die questo stress, mi sentivo sfinita, ma non di una stanchezza normale.
Arrivata in campo, mi hanno messa vicino alla sorella, vederla rannochiata nel suo lettino, che sembrava un cagnolino bastonato mi venne uno stretto al cuore. Il nostro caro dottore che aveva organizato tutto lui, venne subito al mio arrivo, vedendomi non come il solito, mi visitò subito, ero gia febrosa, a lui non gli restò altro che dire ( ci mancava anche questa).
La sua diagnosi era principio di Tifo. Quindi ciò, dovette riportare alla dottoressa e capa del campo. Anche lei in divisa da Tenente accompagnata da due in camice bianco, mi ha visitata ma la sua diagnosi era polmonite.
Il nostro medico si è ribellato, dicendo che lui a Torino era conosciuto come specialista polmonare, e lei doveva curarmi per il Tifo. Lei davanti a i suoi collega è rimasta male allora decise di farci portare in un altro campo ove là decideranno altri medici, e vedremo chi vince: L'Italia o la Russia.
Cosi il giorno dopo fummo caricate ancora sul caretto tutte e due, sempre nel lettino, perchè ora, ero anch'io piena di febre. E quel vecchio cavallo, trottolando a passo lento e a testa bassa, sembrava che avesse persino lui compassione di moi due.
Arrivati alla città chiamata Oppeln, e appena fuori ci stava il campo prigionero russo, ricevute come pazienti, ci portarono in una stanza tutte due insieme, vedersi non potevano perchè i letti erano uno dietro l'altro ma potevamo sentirsi.
Mi buttarono in un letto tutto macchiato di sangue, pure i pidocchi mi aspettavano dentro lì, ma quelli non si vedevano. In quei momenti non si poteva meravigliarsi piu die niente. La dottoressa le avra ordinato di provarmi i polmoni facendomi fare le coppette. Verso sera venne un soldato al mio letto con un cestino di copette die rame, una candela acesa, e un alito puzzolente di Wodka, mi togle la camicia, e senza parola si mise al lavoro.
Scaldava ogni copetta sulla fiamma della candela e con forza me le schiacciava sulla schiena, qualche d'una era piu calda dell'altra, ma io non osavo gridare. Poi lui se ne andò tranquillo, ed io restai con le ciottole sulla schiena fino che colui intese di ritornare.
Al suo ritorno rimase deluso che le ciottoline non si sono oplicate, crollavano da sole senza lasciare un segno d'aqua, dalla rabia mi sputo sulla schiena e se ne andó. Da li hanno capito di curare gli intestini, cosi mi sono sottomessa alla purga.
Trè volte alla settimana, venivano due soltati al mio letto, con un bicchierone die liquido, uno mi teneva ferma io dovevo solo tenere la bocca aperta, e l'altro senza rimorso, versava la purga fin che il bicchire era ben vuoto. Con questo metodo erano sicuri, che il disinfedante andasse al posto giusto.
Pian piano le febri cominciavano a calare, la Emma ancora inmobile, da potere muoversi, e vedere che cosa mi facevano quei soldati, chiedeva a voce tremola come stavo. Quando la dottoressa veniva in questo campo si portava sempre anche il medico italiano, lei non è mai venuta a vederci, ma lui di nascosta veniva a farci una breve visita, e guardandomi la schiena, la vista che era mezza scottata, una piccola bestemia le usci dalle labra, ma anche contento che non era uscito aqua, disse tutto sollevato.
L'Italia ha vinto contro la Russia. Quel sorriso che le illuminava il viso lo rendeva ancora piu simpatico. Veramente era anche un bel Tenente.
Nel nostro campo vi era anche, come prigioniero un capitano di nome Solera, anche di Torino, e veniva tutti giorni a trovarci, anche lui una gran brava persona, gia abbastanza anziano, ma ancora molto agile, e si occupava molto per la Emma, ha incominciato a farla mangiare un poco, pian piano alzarla dal letto, a fare i primi passi, e cosi col tempo riprendeva un po di forze, in modo che lei si riprese prima di mè. Ma devo anche dire, che io mi sono ammalata molto dopo di lei.
Il Capitano Solera era lo spionaggio del campo, lui vedeva tutto, sentiva tutto, e sapeva tutto. Ecco che da lui abbiamo saputo, che quel convolio, che dovevamo partire anche noi due, se ne è andato, ma non verso l'Italia, verso la Siberia.
Poveri soldati, che tanto speravano di andarsene alle sue case. Quando ho sentito questo mi sono sentita male. Ne valse la pena che io mi ammalassi, è stata la nostra salvezza, cambiando campo.
Col tempo cominciavo a riprendermi anch'io, i giorni e le notti a letto cominciavano annoiarmi per svagarmi un poco mi davo ai pensieri, fra quelli mi turbava una cosa, come mai con quel trasporto non è partito anche il nostro medico?
La dottoressa di quel campo, lo sapeva che il convolio era diretto verso Mosca, gli a voluto risparmiare questa fatale condanna, perchè lo amava. Per questo lui aveva piu diritti e liberta degli altri prigionieri. Ciò l'abbiamo saputo dal nostro agente Capitano Solera. L'amore non chiede la nazionalità.
Penso che avevano anche la medesima età, tutti e due sui 40 anni, due tenenti, due medici e due bei personaggi, si accopiavano molto bene.
Le settimane e i mesi passavano, l'inverno si avvicinava, pure il freddo si faceva sentire, eppure da spedirci ai nostri paesi non se ne parlava. Ci tenevano in piedi con avena cotta, poco anche di quella zuppa. Ogni tanto si faceva una seduta di nascosta, ma sempre di notte.
Chievendosi, che interesse avevano tenerci cosi a lungo, qui ci stava un segreto. La guerra era finita il 5 maggio 1945 e noi in novembre aravamo ancora concentrati.
I patti di Ginevra loro non li respettavano. Le altri nazioni ebbero ordine di liberare i prigionieri subito dopo guerra. I sovietici invece si facevano loro la legge. Orgogliosi di avere vinto la grande guerra contro la Germania, si sentirono tanto potenti, che volevano, la sua Siberia, popolarla con i prigionieri.
Le familie italiane, sapevano che i suoi, sono stati presi dai tedesci, quindi li cercano là. Fin ora non hanno avuto nessun avviso, ne da morti, e ne scomparsi. Dove sono rimasti questi soldati?
Forse gli americani se ne sono accorti che i russi di nascosta se li portavano in Russia. Si dice sempre che ogni cosa ha la sua fine, cosi venne anche il giorno della nostra liberazione.
Una delegazione americana arriva nel nostro campo, e lo vide ancora pieno di prigionieri, mezzi affamati, raffreddati, e in brutte condizioni, gli diedero trè giorni di tempo per sgombrare il campo.
E portare i prigionieri alle sue frontiere, se nò avranno a fare con loro. Ai sovietici non ci rimane altro, ora si sentivano sorvegliati. Il giorno dopo arrivò un treno a merce, con vagoni a bestie, ma almeno chiusi, con bastanza paglia per dormire.
La gioia fra di noi fu molta grande, chi rideva chi piangeva, un sobbulio che non si capiva piu niente. Gli uomini facevano stufe con dei vecchi bidoni, si parlava che il viaggio durerà tre settimane, noi si trovavamo in Polonia, nelle vicinanze di Auschwitz.
Un trenaccio vecchio malandato, a carbone, non poteva fare tanta strada, ma a noi bastava che si movessero le ruote, e allontanarsi da quei brutti ricordi. Questa volta ce la fece anche il nostro medico, partire con noi per l'Italia, forse per lui non e stata una partenza tanto felice, a staccarsi dalla sua amata collega.
Durante il lungo viaggio si tenne tanto in ritiro, non si vedeva quasi mai. Con noi due sorelle nel nostro vagone, faceva parte, una familia con due bambine e un neonato che piangeva notte e giorno, la nostra Agente femmina che si curava della direzione che teneva il nostro treno.
Come era bella e nobile, di una statura elegante e di una conoscenza di lingue straordinaria. Mai visto una signorina cosi interessante, per passatempo mi dava lezione d'inglese. In lingue straniere era un genio, anche nello spionaggio era brava a dirigere il nostro treno fino a Praga, senza telefono e senza telefonino, i suoi messagi erano piu segreti.
Il nostro treno non si è mai fermato in una stazione, perchè non vedessimo dove si trovavamo, ma lei scendeva sempre tornava anche sempre in tempo, si vide che andava a fare raporto ai suoi agenti.
Una volta abbiamo avuto fortuna di fermarsi vicino a un treno pieno di patate. Per noi era manna caduta dal cielo, i nostri amici gli diedero l'assalto con una sveltezza tale, che sembravano squaiattoli, fornendosi anche d'aqua, le abbiamo cotte sui nostri bidoni a stufa. Mamma mia che festa!
Una fermata vicino all'Austria, è stata la prima volta a dover scendere dai vagoni. Gli americani ci misero a fila indiana, e con affari che sembravano aspirapolvere, pieni di una polvere bianca di nome DDT.
Con quella ci hanno polverati la testa, e altrove, come una disinfezione, e chi aveva insetti adosso, non correva piu il pericolo di portarli oltre frontiera. Ora con tutte la medesima testa bianca, sembravamo tutti della stessa età. Dopo un mestolo di zuppa, abbiamo salito ancora i nostri vagoni, e il nostro treno sbuffando nuvole di fumo nero si mise ancora in moto, sempre in Direzioni ignote per noi.
Fra di noi si trovava anche un Signor Ebreo, ogni tanto veniva nel nostro vagone per abbreviare un po il tempo, era un soprevivente di Auschwitz, sulla cinquantina, di studio Ingeniere, persona nobile. Si è accorto che a mè interessava molto il suo passato, cosi ci racontava come è finito a Auschwitz.
Lui e altri abitarono nel Ghetto di Warsavia, la maggior parte di loro vivevano in Polonia. Quando Hitler salì sul trono, incomincio a perseguitarli, distruggerli, finanziariamente e personalmente.
Per primo, furono obligati portare la stella di Davide sul petto, poi metterle in rovina, negozi, case, sinagoghe, poi le deportazioni nei campi di concentramento, sopradetto, lavori sforzati.
Il comando sopra la SS avevano Himmler e Eichmann. Loro lavoravano con tutte le stuzie inmaginabili, per catturare fin l'ultimo Ebreo.
Mettero manifesti ai muri, che la Svizzera avrebbe ospitato, vecchi e bambini sotto la protezione della croce rossa, e avevano anche già pronti i veicoli di trasporto, marcati con grandi croci rosse, chi ci ha creduto, sono andati alla morte prima del tempo. Le vetture erano una trappola, preparate con gas velenoso, e li soffocavano gia per strada facendo.
Gli Ebrei nel ghetto avevano anche loro i suoi agenti, d'informazione, e da loro hanno sentito che i tedesci volevano fare una grande razzia per liminarli totalmente. Ma gli Ebrei erano da tanto che si procuravano armi di nascosta per fare rivolta, e fra questi manipolava anche il Sig. Tolek, si preparavano i suoi posti di sparo sui tetti delle case.
Quindi arrivò anche il giorno che uno squadrone di SS ben armati fecero l'assalto, mai pensando di essere attaccati dall'alto. Fra la sparatoria ci rimasero molti morti da parte della SS, non ci rimane altro che ritirarsi. Dopo questo smacco, Himmler dovette far rapporto al distretto generale, del successo a Varsavia. Certe cose non dovevano mai succedere alla SS.
Hitler sempre cattivo, diede ordine di mettere sotto fuoco tutto il Ghetto, sicuro che non scapperanno nemmeno i topi. Chissà che piacere ha provato la SS a poter fare un sterminio totale, quello era cosi e cosi il suo mestiere. Subito all'opera, senza rancore hanno incendiato tutto il Ghetto, trasformarlo in un inferno di fiamme, e l'Ingeniere Tolek con una ventina d'amici si rifugiarono nelle fogne della città.
Dendro li hanno resistito una quindicina di giorni, alcuni non hanno resistito, la fame, la sporchizia e la puzza, sono morti, e Tolek con altri trè, ci si aprì la via di fuga, di notte fra campi e boschi.
Una notte gia fredda si e ricoverato in una stalla, forse l'ha visto qualcuno e da bravo nazista ha avvisato subito la Gestapo che un disartore si trovava nella stalla. Subito due di quei rabbiosi arrivarono , e lo presero dormendo.
Senza tante storie, lui si rese subito come Ebreo. Lo portarono a Auschwitz, che era il campo piu vicino. Datosi al suo buon mestiere, gli sarà stato d'aiuto e cosi si è risparmiato la morte.
All'arrivo dei Russi è stato liberato, e nel medesimo tempo lo fecero suo prigioniero, sperando che le fosse d'aiuto anche a loro in Siberia. Povero Tolek, non aveva piu nessuno, genitori, moglie, figli, parenti, amici, tutti sterminati viventi sotto il regime nazista.
Finito il suo racconto, incominciò impallidire e sudare, l'abbiamo coricato, e facendole aria con il coperchio del bidone, pareva che si riprendesse un poco, alle prima fermata, due soldati nostri, lo accompagnarono ancora nel vagone che divideva con gli ufficiali, per un po di giorni non l'abbiamo piu visto.
La familia che viveva nel nostro vagone non parlava mai, il piccolino non aveva piu forza da piangere, le due sorelline per non farsi sentire a piangere, nascondevano la testina nel grembo della mamma, e singhiozavano in silenzio, noi due si cercava di rallegrarle con qualche favoletta ma di piu non avevamo.
Il nostro treno si dava daffare a sbuffare nuvole di fumo nero nell'aria, ma erano anche tante le ore che si fermava su rotaie secondarie. Intanto per rompere la noia, pensavo a gli annipassati in Germania, dai 18 ai 26 dovrebbero essere i piu belli della gioventù, invece per me sono stati i piu spaventosi, e dolorosi della mia vita, poi la perdita di mio marito mi aveva distrutta completamente.
La moneta polacca muchiata con le nostre vendite, se ne è andata durante il malessere della Emma, i risparmi di tanto lavoro, se ne andarono in inflazione, a mani vuote sono andata, e a cuore vuoto son tornata.
Eppure in tutto quel passato ho imparato tanto, con tutte, e tante esperienze, s'impara a vivere anche nel brutto, dove cè una vita, cè anche speranza, tanti si lamentanto di questo mondo, ma lasciarlo non vuole nessuno. Sono arrivata ad un punto, che mi sento come una Psichologa, certo senza studio, ma un proverbio dice, che vale piu la pratica che la grammatica.
Noi siamo come un Barometro che va su e giu, sull'alto ride il sole, sul basso piange la pioggia ed io ho sempre cercato il sole, anche quando non splendeva, la forza e il coraggio mi ha salvata in tante situazioni, forse avrò avuto anche un aiuto dall'alto, non ne dubito, ma anche l'aiuto di sè stessi, vale molto.
In tanto le ruote con il suo solito tono, si giravano adagio, ma sicure verso il sud. In tanto due settimane sono passate, di noi non si era ancora ammalato nessuno.
La prima fermata chè abbiamo fatto, e stata a Praga, era mezzanotte, la stazione tutta illuminata, noi ci sembrava trovarsi in un altro mondo. Un gran movimento di soldati Cecoslovacchi e Americani, i quali ci sfamarono con pane, marmellata e tee caldo.
Lì la nostra Agente ci ha lasciati dicendo che ora siamo al sicuro, e che ora non ci bisogna piu il suo aiuto, salutandoci tutti, poi e salita su di un treno normale, pieno di soldati Polacchi che partirono subito. Noi ci rimase soltanto tempo di ringraziarla e salutarla fino che il suo treno scomparse nel buio della notte.
Anche il nostro treno comincio sbuffare come solito verso l'Italia. Finalmente siamo arrivati al Brennero. La Fermata è stata breve, qualche Frate si diede daffare darci ciottole di vino caldo e zuccherato, ciò non è stato adatto al nostro stomaco vuoto, cosi ci a provocato a tutti mal essere.
La colpa non era sua, avranno pensato di scaldarci un poco. Quindi di nuovo in partenza per Bolzano, li abbiamo potuto scendere dai vagoni, anche lì era notte.
La croce rossa ci attendeva, con latte caldo e minestrina. Il nostro arrivo fu molto commovente, a vedere i prigionieri scendere inginochiarsi e baciare la sua terra nativa piangendo. Anche la sua presenza non era tanto gradevole, magri, pallidi, con un forme mal conciate, anche la presenza di noi due sorelle non era migliore alla sua.
Quanta gente era radunata in stazione a vedere gli ultimi arrivati. Quanta gente si era radunata alla stazione, sapendo che ci portava a casa i Russi, di sicuro che i curiosi comunisti, saranno rimasti male, a vederci cosi mal trattati, su vagoni a bestie, sul suolo di paglia e senza falce e martello per i suoi tesserati.
Anche la sosta a Bolzano non è stata lunga poiche il nostro machinista era in fretta a portarci a Verona nel campo di smistamento, ove là, ci ha lasciati per sempre. Anche lì la Croce Rossa si è occupata di noi, dandoci mastelli d'aqua per potersi lavare le faccie fumicatè, e le teste ancora grigie del famoso DDT, cosi dopo, potevamo anche noi due, mettersi fra gente civile.
Poi abbiamo mangiato anche in fretta, perche i camion erano inpazienti per partire, la nostra direzione era a Milano, e volevano arrivare prima che si facesse notte.
Il posto nella cabina se lo prese il nostro dottore, e noi due e trè soldati di dietro all'aperto.
Il congedo a Verona da i nostri camerati è stato breve, la grande familia si è sciolta per sempre, e mai piu sentito di nessuno. Forse dell'agitazione, la fretta, e il fumo di Nafta, feci una digestione spaventosa.
Il nostro medico di Torino, mi diede il suo posto in cabina, mi trovavo peggio di prima, lui non sapeva piu aiutarmi, era un continuo far fermare l'autista. L'ultima fermata davanti a un Ristorante, il medico andò a prendermi un Fernet e pian piano un po meglio arrivammo a Milano.
Di mè si è occupata l'infermeria di stazione, e il nostro caro medico ci ha lasciate salutandoci affetuosamente. Anche lui era in fretta a prendere un treno che lo portasse alla sua familia a Torino.
Il capitano Solera, già a Verona prese un'altra strada, ma non ricordo piu dove.
Noi due si doveva andare ancora a Piacenza, una infermiera mi diede delle pastiglie, che anche mi fecero bene, e poi si è occupata di un treno a merce, che si fermasse a Piacenza, e cosi dentro lì, con il nostro bagaglio eravamo piu comode a coricarsi ancora sulla paglia.
Era già notte, per non addormentarsi, si parlava di una cosa e l'altra, mia sorella, che compasionava sempre piu gli altri, che sè stessa, diceva, chissà quanti soldati saranno stati trasferiti per il fronte in questo vagone, e certamente non sono piu tornati tutti. Anchio non ho mai compasionato mè stessa pensando che migliaia di gente sana e salva gli è stata rubata la vita, senza differenza di età, senza condanna giudiziaria, senza motivo.
Quanto diventa prieziosa la nostra vita, trovandosi in pericolo, si combatte con tutte le forze per sopravivere. Gia che abbiamo avuto fortuna, di cadere su questa terra, perchè non profittarne delle sua grande e bella natura, che è cosi profonda, e infinita da scoprire.
Non scrivo per scrivere, ciò lo faccio anche per dare buoni esempi alla gioventù di oggi, che vivono nel ben essere, senza darle nessuna considerazione, e importanza.
Devo dire che tengo piu amicizie giovanili, che anziani, sono i giovani che hanno bisogno di buoni consigli e aiuto morale. Per ciò, costoro mi ascoltano volentieri, capisco che affidarmi i suoi problemi le fa tanto bene.
Tornando al nostro arrivo a Piacenza. Era mezzanotte, la stazione scura e in silenzio, solo l'ufficio del capo stazione teneva luce. Uno venne ad aprirci il vagone, perche dall'interno non si poteva.
Il freddo si faceva sentire anche da quelle parti in modo che ci misero in un ufficio al riparo, ove coricate sui nostri panni aspettammo il mattino. Si erano sparse le voci che si veniva dalla Russia, senza Rubli e senza Lire, ci sembravamo pacchi postali, che uno ci raccomandava all'alltro.
Cosi alle ore 8 partiva la prima Corriera per Carpaneto. All'autista le bastò la nostra presenza, per chiudere tutti e due gli occhi e portarci a casa senza biglietto.
Finalmente arrivate al paesello nativo, Ciriano. Le voci del nostro arrivo si sparsero in paese come il vento d'Aprile, amici e parenti venirci a salutare, i bambini sfidandoci correndo per essere i primi ad annunciare il nostro arrivo ai nostri genitori.
Non posso piu descrivere l'emozione provata, abbraciando ancora i miei vecchietti, era un mischio di baci e di lacrime e anche di vergogna essere tornata in queste misere condizioni.
Il nostro papà, sempre sperando di un nostro arrivo, aveva fatto un buon racolto di castagne, e con queste, una sera abbiamo fatto le bruciate nelle brace del camino. La sua usanza era che fra le tagliate metterne trè non tagliate, quando scoppiavano quelle, era segno della sua cottura.
Nel medesimo tempo avevamo anche tanto da raccontare. Tutto un tratto nostro padre ci chiese, se sapevamo ancora in che condizioni si trovavamo, nei primi giorni d'agosto, perchè lui aveva fatto un sogno strano, su noi due, cioè che si travavamo in un canale pieno di fango e di noi due sorelle, avanzava fuori ancora solo la testa. Siccome la mamma gli chiedeva tutte le mattine se avesse fatto un buon sogno su di noi due.
E quel mattino gli disse alla sua Filomena, che vivevamo ancora, e che il fango non ci aveva inghiottite del tutto.
Aveva ragione, perchè in quei giorni, la Emma stava per morire, ed io stavo per ammalarmi di quella Epidemia. Poco a poco dopo un pò di riposo, si doveva incominciare a progettare una nuova vita, cioè lavorare, per mantenersi, e cosi si faceva la sarta ancora come prima, ma i tempi cosi subito dopo guerra, non erano tanto rifatti, il paese piccolo, e il lavoro per due non bastava per le spese, cosi dopo due anni, ho deciso di lasciare la Emma sola a cucire.
Ho sentito che nella Svizzera tedesca cercavano personale per gli Alberghi turistici. Io che ora parlavo il tedesco alla perfezione sono stata assunta all'Hotel Post in Meiringen, paese molto montagnoso ma turistico d'inverno e d'estate, cosi nel 1947, feci ancora la valigia per andare incontro una nuova vita.
La lontananza dalla familia non era poi tanto, si poteva tornare a casa anche piu spesso. L'anno dopo venne anche la Emma al medesimo paese, cosi le sorelle inseparabili, si trovavano ancora asieme.
Nel 1951 cominciai a odiare la valigia, arrivata ai 31 anni ho pensato di formare anch'io una familia, ho incontrato una persona, brava e colta, con 17 anni piu di mè, ma ciò non mi diede peso, poiche anch'io dopo il mio triste passato, ero invecchiata moralmente, ma non di età.
Lui essendo svizzero tedesco, non abbiamo avuto difficoltà per la lingua tedesca. Se anche siamo rimasti senza figli, ci siamo fatto buona compagnia fino alla sua morte.
Non mi sembra vero che siano già 10 anni che vivo sola, ma grazie alla mia buona salute e volontà sono arrivata ai 2000 con i miei 80 anni, e spero che non siano gli ultimi.
Sono alle fine del mio libro, ma non voglio scordare di scrivere anche due righe in onore della mia cara sorella, deceduta nel 1999. Anche lei si è sposata in Svizzera, formando la sua familia di trè figli.
Col tempo ha svolto l'arte, che teneva in sè già da bambina, cioè pittura e scultura, con questo si è fatta un nome in tante Nazioni. Il nostro passato insieme ci aveva legate tanto, per ciò ne sofro tanto la sua mancanza.
Spero fra i miei lettori d'incontrare comprenzione per il mio semplice scritto, manco di fantasia, ma di pura verità.
30 gennaio 2000, Bianca Brigati
Bianca Fricke-Brigati (ca.1990)